Riflettiamo - Dott. Giuliano Franzan

Dott. Giuliano Franzan
Teologo - Psicologo - Sessuologo - CTP
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Riflettiamo

Riconciliazione: sguardo d'amore verso se stessi...

La riconciliazione con se stesso significa inoltre dire di sì a ciò che io sono diventato, dire di sì alle mie capacità e ai miei punti forti, ma anche ai miei difetti e ai miei punti deboli, alle mie minacce, ai miei punti sensibili, alle mie paure, alle mie tendenze depressive, alla mia incapacità di legarmi, alla mia modesta capacità di resistenza. Devo guardare con amore quello che non mi fa affatto piacere, quello che contraddice completamente l'immagine che ho di me stesso, la mia impazienza, il mio timore, la poca stima che ho di me stesso. È un processo che dura tutta la vita. Infatti anche se pensiamo di esserci già da tempo riconciliati con noi stessi, riaffiorano in noi continuamente carenze che ci fanno arrabbiare e che preferiremmo rinnegare. Allora occorre di nuovo dire di sì a tutto ciò che è in noi.
Dire di sì a me stesso significa riconciliarmi con la mia ombra. Per C. G. Jung l'ombra è quello che non abbiamo accettato, quello che abbiamo escluso dalla vita perché non corrispondeva all'immagine che avevamo di noi stessi. Come sostiene Jung, l'uomo ha una struttura bipolare. Si muove sempre tra due poli, tra ragione e sentimento, tra disciplina e il lasciarsi andare, tra amore e odio, tra anima e animus, tra spirito e istinto. È assolutamente normale sviluppare nella prima metà della nostra vita soprattutto un polo, trascurando l'altro. La parte trascurata viene così relegata nell'ombra, dove però non trova pace ma anzi continua ad agitarsi in noi. Il sentimento rimosso si esplica in noi sottoforma di sentimentalismo. Se l'aggressività è stata rimossa perché non corrispondeva all'immagine che avevamo di noi stessi, spesso si traduce in durezza e freddezza oppure anche nella depressione e rivolgiamo l’aggressività contro noi stessi. Nell'età di mezzo, al più tardi, siamo costretti ad affrontare l'ombra e a riconciliarci con essa, altrimenti ci ammaliamo, poiché si sviluppa un contrasto dentro di noi che ci lacera internamente. Dobbiamo accettare il fatto che in noi non esiste solo amore, ma anche odio, che nonostante tutti gli sforzi, religiosi e morali, sono presenti in noi anche tendenze omicide, sadiche, aggressività, ira, gelosia, atteggiamenti depressivi, paure e viltà. In noi non troviamo solo una nostalgia spirituale, ma anche ambiti senza Dio che non vogliono essere affatto religiosi. Chi non affronta la propria ombra la proietta inconsapevolmente sugli altri. Non ammette la propria mancanza di disciplina e la vede soltanto negli altri. Noi ci guardiamo e di conseguenza guardiamo gli altri, con sguardo critico, giudice e molto spesso vediamo solo la trave nell’occhio del fratello. Quando noi non usiamo il metro dell’amore, denudiamo noi stessi e gli altri; e l’uomo nudo è fragile, debole, vulnerabile e pieno di difetti. Ma Dio ci riveste e ci ridà dignità, di uomo, di figlio. Dobbiamo imparare a guardarci con gli occhi di Dio. Accettare la propria ombra non significa semplicemente lasciare che esista, ma innanzitutto confessarne l'esistenza. Per farlo occorre umiltà, il coraggio di scendere dalla posizione elevata e idealizzata in cui pensiamo di trovarci per calarci nella sporcizia della nostra realtà. Il termine latino che traduce «umiltà», humilitas indica la disponibilità ad accettare il nostro attaccamento alla terra, all'humus che è dentro di noi.
Per riconciliarmi con me stesso devo anche riconciliarmi con il mio corpo, un compito per nulla facile. Non possiamo cambiare il corpo che abbiamo. Nei colloqui terapeutici mi rendo spesso conto – scrive p. Anselm - di quanto le persone soffrano a causa del loro corpo. Il loro corpo non è diventato come essi lo desideravano. Non corrisponde all'immagine ideale dell'uomo o della donna creata dalla moda che detta le regole della società di oggi. Molti si sentono grassi e ne hanno vergogna. Pensano che il loro viso non sia attraente. Credono di avere una corporatura che li pone in una condizione svantaggiata. Il mio corpo diventa bello soltanto se lo amo così com'è. Infatti la bellezza è relativa. Una bambola può essere bella, ma rimane fredda e priva di espressione... Bellezza significa che la magnificenza di Dio risplende attraverso di me. Ma questo avviene soltanto se accetto il mio corpo e lo porgo a Dio. Solo così può diventare trasparente e manifestare l'amore e la bellezza di Dio.
Ad alcuni tra quelli che soffrono per la loro storia personale, per la loro ombra o per il loro corpo, assegno volutamente come esercizio il compito di sedersi di fronte a un'icona di Cristo e dire, rivolgendo lo sguardo verso Gesù: «Va tutto bene. Tutto deve essere così com'è. Tutto ha un suo senso. Ti ringrazio di essere diventato quello che sono. Ti ringrazio per la mia storia, per gli alti e i bassi, per le strade sbagliate e le deviazioni. Tu mi hai guidato. Ti ringrazio per il mio corpo. È unico e irripetibile. In esso mi sento a casa. È il tempio dello Spirito Santo, il luogo della tua magnificenza». Spesso non è affatto facile pronunciare queste parole. Se ho appena affrontato le mie avversità, sono riluttante a spingermi addirittura a ringraziare per questa situazione. E se mi ribello al mio corpo, non mi è per nulla semplice imparare ad amarlo. Ma che io possa amare il mio corpo o no dipende non solo dalle sue caratteristiche, ma anche dal modo in cui lo guardo. Ogni corpo è bello se lo osservo senza pregiudizi, se lo interpreto come un'opera d'arte di Dio. Se cerco di vedere me stesso e il mio corpo, la mia storia personale e il mio carattere così come li vede Dio, e di ringraziare Dio per quello che ho, e improvvisamente affiora in me un profondo senso di pace. Sento il cuore spalancarsi. E intuisco che tutto va davvero bene, che sono proprio le difficoltà che incontro nella vita a tenermi sveglio, affinché io mi affidi a Dio e non a me stesso. Ancora più difficile è riconciliarci con la nostra colpa e perdonarla a noi stessi. Possiamo perdonare noi stessi soltanto se crediamo con tutto il cuore che Dio ci ha perdonato, che Dio ci ha accettato incondizionatamente. Molti non prendono sul serio il perdono di Dio. Certo, affermano di crederci, sono andati a confessarsi e hanno ammesso la loro colpa, ma nel profondo del cuore non hanno perdonato a se stessi la colpa che hanno commesso. Continuano a rimproverarsi di essersi macchiati di quella determinata colpa. Soprattutto tra gli anziani - afferma p. Anselm - che hanno partecipato alla guerra noto la tendenza a condannarsi. Si ricordano le atrocità in cui si sono trovati coinvolti. Per anni hanno rimosso tutti questi ricordi, che adesso riaffiorano. E non riescono più a perdonare  se stessi. Non riescono a credere che Dio li abbia veramente perdonati, quindi si tormentano autoaccusandosi. Hanno dentro di sé un giudice spietato che li condanna senza alcuna pietà. Dio è molto più misericordioso con noi di quanto noi non lo siamo con noi stessi. «Qualunque cosa (il cuore) ci rimproveri, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1Gv 3, 20). I primi che si autopuniscono siamo proprio noi stessi quando non accettiamo il momento, la stagione della malattia o le nostre fragilità. Molte volte non siamo preparati al nuovo che la vita ci riserva. Molte volte non siamo preparati ad essere toccati e feriti nell’amore. E’ più facile penalizzarsi, emarginarsi, distruggersi, condannarsi. L’amore di Dio ci insegna che Dio non ci emargina, non ci colpisce, non ci mette alla berlina ,ma, anzi, tutela sempre la nostra interiorità e le prove intime del nostro cuore.
Credere nel perdono di Dio significa porre Dio al posto del nostro super-io privo di misericordia, avere fiducia nel fatto che Dio accetta tutto in noi, che ciò che noi continuiamo a rimproverarci egli lo ha già da tempo buttato via, cancellato, trasformato. La fede nel perdono che viene da Dio deve distogliere il nostro sguardo dalla nostra colpa personale per rivolgerlo alla sua misericordia divina. Di fronte agli occhi colmi di bontà di Dio possiamo trovare la pace con noi stessi e dire di sì a noi proprio perché Dio ci ha dato una conferma piena e totale del nostro essere.
Una giovane donna - afferma p. Anselm - continua a rimproverarsi di aver ferito il suo ragazzo da cui si è divisa da tempo. Non riesce a perdonare a se stessa di aver commesso degli errori nell'ambito della loro amicizia. E questa incapacità ha un effetto sempre paralizzante su una nuova relazione. Ha paura che possano riattivarsi i vecchi meccanismi. Sente di dover perdonare prima a se stessa per poter poi davvero ricominciare da capo e dedicarsi al suo nuovo ragazzo senza trascinarsi dietro pesi interiori. Finché non avrà perdonato se stessa, il passato le rimarrà attaccato, ostacolando la felicità che le offre il presente. Talvolta perdonare se stessi è ancora più difficile che perdonare agli altri, ma è il presupposto per poter vivere nel presente coscientemente e accuratamente senza i turbamenti della colpa passata di cui nel nostro intimo continuiamo ad accusarci. Nel profeta Isaia Dio ci parla così: «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora diventeranno come lana» (Is 1, 18).
Se Dio ci perdona, la nostra colpa perde la sua forza e non può più offuscarci: non la si nota più sulla nostra pelle. Diventa invece bianca come la neve, ci sentiamo come rinati. Quando usciamo dal confessionale tutta la nostra vita passata non c’è più perché dopo ogni confessione si ricomincia da capo. E se Dio mi da questa possibilità, perché non posso darmela io? Possiamo di nuovo ricominciare. Il passato non incombe più su di noi come un peso. Ma dobbiamo anche credere nella forza dell’amore di Dio che perdona perdonando noi stessi e liberandoci in questo modo dal potere distruttore della nostra colpa. Dio ci ama in maniera viscerale. Per Dio prima di tutto vieni tu!
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