Riflettiamo - Dott. Giuliano Franzan

Dott. Giuliano Franzan
Teologo - Psicologo - Sessuologo - CTP
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Riflettiamo

Essere missionari oggi...

Contro l’«accidia egoista» aveva già scritto papa Francesco alludendo ai molti laici che «cercano di fuggire da qualsiasi impegno che possa togliere loro il tempo libero». Eppure l’annuncio e la testimonianza sono proprio il compito di ogni cristiano che decide in coscienza di «restituire» i tanti doni ricevuti dedicando una parte del proprio tempo alla missione. Con la vita e le scelte quotidiane, piuttosto che con le parole.
Ma per indurre nelle persone una forte motivazione per avviarsi sulla strada dell’annuncio e della testimonianza occorre approfondire le ragioni stesse della missione (EG 263): è l’obiettivo dell’ultimo testo tradotto in lingua italiana (dall’Editrice Missionaria) del teologo Fernández, rettore dell’università cattolica di Buenos Aires, il cui titolo originale recita: «Quince motivaciones para ser misioneros: para caminar con el papa Francisco».
Il punto di partenza è un tratto comune alla stragrande maggioranza delle persone, l’esperienza dell’amore umano: un innamorato avverte un forte desiderio di parlare della persona amata, tesserne le lodi, illuminarsi al solo pensiero del prossimo incontro, condividere la propria gioia. Se abbiamo incontrato Gesù Cristo e ci siamo lasciati afferrare da lui, perché non dovrebbe accadere lo stesso? È accaduto ai discepoli di Emmaus e noi, uomini del Terzo Millennio, da cosa o da chi restiamo bloccati?
Papa Bergoglio ci ricorda che «la prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da lui» (EG 264): dobbiamo forse concludere che non sentiamo la necessità di farlo perché non ci sentiamo più amati? «Il cuore missionario è quello che sente la costante necessità di comunicare questo annuncio salvifico a chiunque egli incontri sul cammino della vita».
Ma è solo la prima di quindici motivazioni per l’annuncio. Proviamo allora a contemplare il Vangelo, soffermarsi sulle sue pagine, leggerlo col cuore: non c’è nulla di meglio che possiamo trasmettere agli altri. Il Vangelo è quanto è indispensabile per essere felici, per crescere, per realizzarsi in quanto esseri umani perché risponde ai bisogni più profondi di ogni persona, alle inquietudini, alle angosce e ai loro sogni più preziosi.
E ancora non basta: annunciare il Vangelo significa aiutare le donne e gli uomini di oggi a scoprire ciò che davvero vale la pena, affinché sappiano dire di no a chi li vuol schiavizzare, ingannare, approfittarsi di loro. «Essere missionari - conclude Fernández - significa diventare liberatori di schiavi».
I missionari, poi, hanno un cuore largo, vasto, perché non si preoccupano solo della conversione di individui: desiderano che il Regno del Signore trasfiguri la terra intera e nulla in questo mondo è per loro indifferente. E, soprattutto, non hanno timore dei cambiamenti, quello che l’allora cardinal Bergoglio chiamava il «santo disordine», perché la missione non è fatta per gente che si aggrappa alle proprie sicurezze e consuetudini, anzi: occorre il coraggio di abbattere tutte le strutture che non servono alla missione.
Senza dimenticare che abbiamo bisogno di una spiritualità che ci stimoli a essere missionari, ma una spiritualità che trasformi il cuore, una vera «mistica dell’annuncio» che si alimenta alla Parola, così diversa da quella «tentazione di una spiritualità intimistica e individualistica» che va decisamente respinta (EG 262). Perché in fin dei conti discepolo e missionario sono la stessa cosa» e il discepolo sa imparare anche dagli altri fratelli che incontra sulla sua strada nel quotidiano. E qui nasce la «mistica dell’incontro», senza la quale non si è altro che «un insopportabile ciarlatano che non crede in ciò che pretende di trasmettere».
E allora qual è l’identikit dell’autentico missionario? Una persona, niente affatto perfetta, ma entusiasta sì, perché vive nella certezza dell’amore di Dio per lei, una persona che vive nella fiducia in Dio e negli altri, un Dio che sa bene può, in ogni momento, invocare col nome di Padre.
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