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Riflettiamo - Dott. Giuliano Franzan

Dott. Giuliano Franzan
Teologo - Psicologo - Sessuologo - CTP
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Riflettiamo

Fede come avventura...
Terza parte: Dentro la storia umana

Riflessione: «Che cosa debbo fare?» (Mc 10,17-22)
La fede cristiana nasce e cresce nel cuore di chi cerca qualcosa di grande e di generoso, in chi vuole entrare nell'ottica di Dio e realizzare in pieno il progetto originario della creazione: non si tratta solamente di una «buona condotta» ma del desiderio di una esistenza elevata alla sublimità del progetto di Dio che conduce l'essere umano a una dignità soprannaturale.
Di fatto, nell'episodio evangelico, la richiesta del giovane ricco che si presenta a Gesù è precisamente quella di una «vita eterna», nel senso di una vita piena, completa, autentica, una vita che superi la genericità di una bontà rasoterra, e si elevi verso quelle altezze che il cuore umano intuisce e non riesce però né a definire né tanto meno a raggiungere.
E proprio di ogni essere umano sincero, aperto alla verità tutta intera, avvertire dentro di sé una continua chiamata a qualcos'altro, un tormento che non si placa neppure quando la coscienza non rimorde e anzi testifica una situazione corretta, e che esige invece il superamento dei confini quotidiani del buon vivere.
Forse è il richiamo di sogni infantili o di avventure avvertite nell'intimo, forse è il confronto con alcune scelte intraviste nel prossimo: certo è che quando si è sinceri e liberi non si può non sentire il desiderio di un meglio e di un più che urge nell'animo ed esige di diventare realtà, parte integrante della nostra storia.
Nell'episodio evangelico, è la richiesta di questo giovane che ha sempre osservato tutta la legge e non si sente soddisfatto, e perciò chiede al Maestro buono che cosa e come fare per soddisfare un desiderio fin troppo chiaro che batte insistentemente nell'animo.
Bisogna intendere così tutto il valore del senso religioso, a partire dai noi stessi, senza chiuderci invece in formule e gesti che diventano consolazione e tranquillità e chiudono di fatto ogni slancio verso un miglioramento continuo.
Non sempre la nostra fede comporta un desiderio e un assillo di miglioramento, di superamento dello stato in cui già viviamo, ma diventa quasi la «pensione», la casa di riposo raggiunta con le buone opere indicate dalle regole del gioco: c'è una insidia nascosta nella osservanza fedele di regole e di obblighi, ed è la persuasione di avere già raggiunto il traguardo del cammino religioso.
Il giovane ricco del Vangelo ci sveglia dal nostro torpore e ripropone l'interrogativo: va bene così la nostra vita? siamo realmente seguaci di Cristo? abbiamo realmente quella «vita eterna» («sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza» dice Gesù al cap. 10,10 di san Giovanni), che è il senso del vivere e lo scopo della fede?
Siamo destinati alla vita eterna, alla pienezza di vita che viene dal Cristo e che trascorre in noi nella adesione a lui, siamo destinati a una ricchezza altrimenti impensabile ma altrettanto possibile: anzi, la nostra fede ci istruisce e ci svela la verità del nostro esistere e spiega il senso di quella inesauribile insoddisfazione che avvertiamo nei momenti di lucidità e di sincerità con noi stessi.
Troppo spesso, però, la nostra vita scorre lenta e monotona, senza slanci e senza entusiasmi, e così non trasmette quella pienezza di dono che Dio offre a tutti e di cui noi siamo, come cristiani, testimoni: qui è una causa del raffreddamento generale verso la fede cristiana, il senso di sfiducia nella sua capacità di salvezza per le persone di oggi, qui è o dovrebbe essere il senso della nostra colpa, di una responsabilità non assunta o non assolta.
La risposta di Gesù che indica al suo interlocutore la via dei comandamenti, è una provocazione e conduce a verificare l'incompletezza e la sterilità di una stretta osservanza fine a se stessa: è quanto Gesù vuole dire a noi, per snidarci dal nostro nascondiglio di «opere buone » e di obbedienza, di regolarità pacifica, e mostrarci dove deve giungere o almeno quale strada deve aprire la nostra adesione a lui, la nostra fede affermata e spesso sbandierata come merito.
È tempo di riflettere sulla nostra condotta «buona» (ma «uno solo è buono », dice ancora Gesù rimproverando la facilità con cui ci si giudica tali), sul nostro modo di gestire la nostra fede, la vita delle nostre comunità, le esperienze e le iniziative che offriamo come occasioni di incontro col Signore: bisogna misurarle non sul metro della nostra soddisfazione o sulla bella figura che possiamo fare, ma sulla parola severa e luminosa di Gesù che va fino al fondo del nostro cuore e vi legge ciò che realmente vi è contenuto.
Questa interpretazione è facilitata dal seguito dell'episodio che stiamo leggendo: Gesù fa la sua proposta, chiara e pulita, secondo quel «si se è si, e no se è no » che egli stesso ha raccomandato ai suoi discepoli (Mt 5,37), e offre, a chi sta lealmente cercando nuove possibilità per la propria fede, ciò che ancora gli manca.
«Va', vendi tutto quello che hai... »: Gesù vuole un po' di onestà e di coerenza, un po' almeno di chiarezza con se stessi per non barare né con lui né con la propria coscienza: bisogna «vendere», liberarsi, sbarazzarsi di tutto ciò che forma la nostra sicurezza e frena e soffoca la grandezza del dono che lui ci vuole fare.
Vendere tutto ciò che si ha: liberarsi dalle nostre abitudini contrabbandate come obbedienza alla volontà di Dio, da ciò che nasce e si radica nella nostra mente e nel nostro cuore coperto poi da frasi e gesti evangelici, fare a meno di ciò che ancora una volta ci ripiega su noi stessi rendendoci sordi e impermeabili al richiamo appassionato dell'amore di Dio.
Non è facile, perché sempre portiamo dentro di noi quella voglia di essere protagonisti e di poter contare su certezze concrete e materiali, perché in fondo ci fidiamo più di noi stessi che non di Dio: ma è questa la sfida della fede, è questa l'occasione che permette a Dio di poter spiegare tutta la sua potenza e il suo amore, e rende possibili le «grandi cose» che segnano lo stile di Dio, come il Cantico di Maria ci ha insegnato (Lc 1,46ss).
La condizione essenziale per raggiungere quella pienezza di vita che noi desideriamo e che potrebbe essere una credibile e affascinante testimonianza al mondo, è e resta sempre questo svuotarsi di noi stessi, questo liberarsi da tutto, per seguire realmente Gesù.
La sequela di Gesù o è totale o non è, e rischia di diventare una impostura che non cambia nulla e peggiora la nostra situazione senza portare nulla di buono a nessuno.
La sequela di Gesù comporta il continuo distacco da tutto ciò che ci lega a noi stessi e ci rende salvatori di noi stessi, comporta il coraggio di scegliere lui pienamente e senza mezze misure: Gesù lo ha sempre richiesto ponendo se stesso come alternativa alla mentalità comune, al pregiudizio, all'orgoglio, alla sicurezza personale.
Gesù è esigente perché sa che solo in lui è la salvezza: i nostri conti, le nostre alchimie teologiche e morali non ci avvicinano a lui, ma ci chiudono in noi stessi. Poi, ce ne andiamo «tristi» e la nostra tristezza diventa indifferenza per gli altri.

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