Riflettiamo
Fede come avventura...
Prima parte: Oltre i simboliRiflessione: «Sei tu colui che deve venire?» (Mt 11,2-6)
Continuiamo i nostri Esercizi...
La fede conosce momenti di dubbio, o meglio necessita di ulteriori conoscenze e certezze: essendo una posizione umana non relativa a ciò che si vede e si sente, non appoggiata su esperienze particolari, richiede sempre un approfondimento e una chiarezza sempre più forte.
Non è quindi da rifiutare come un male, come una debolezza, o peggio come una «crisi», il fatto di avvertire domande e perplessità, dubbi e incertezze che invece non possono mancare in chi vuole dare alla propria posizione di fede un fondamento che offra di volta in volta una forza e un coraggio necessario per aderirvi non solo intellettualmente ma anche con tutta la propria esistenza.
Forse, anzi, il male è proprio quando si crede di sapere tutto, di aver capito tutto, di «possedere la verità», di essere quelli che non sbagliano mai e che hanno il monopolio della fede: in questo modo ci si trincera dentro nostri schemi mentali, dentro posizioni acquisite, difendendo ciò che già siamo, rendendo la fede una sterile concezione astratta, ripetitiva e fredda.
La fede, proprio perché tale, cioè adesione alla rivelazione di Dio, al suo pensiero, al suo disegno d'amore, è sempre un fatto incompleto, una conoscenza limitata mai esaustiva, è una visione parziale: perciò se non si cerca di sviluppare, di sapere di più, di confrontarci, si rischia di farci un'idea distorta di Dio, della sua parola, del messaggio che vuole rivolgerci. Così si spiega come in molti credenti, anche «religiosi», la fede sia una povera eredità tenuta gelosamente chiusa nel proprio intimo, e non generi la vita nuova, la vita di Dio, la vita che Dio vuole far godere ai suoi figli: si spiegano tante freddezze, tante chiusure, tanti arroccamenti su posizioni abitudinarie, uno «stile» che di cristiano ha ben poco o nulla, e si spiega anche come questo tipo di fede non diventi quel «pugno di lievito» immerso nella massa e non faccia fermentare nulla.
Ecco la domanda dei discepoli di Giovanni, che è la domanda di tutti noi specialmente nei momenti difficili, quando il buio del male, del dolore, della morte, assedia le nostre vite, le nostre anime, e sembra che Dio sia lontano, non sia ancora venuto.
È proprio Gesù il salvatore. E chi salva, come salva, quale è la sua azione? come comportarci noi di conseguenza? è proprio vero che siamo nel giusto e che c'è una risposta e una soluzione ai nostri drammi quotidiani…?
Tutte queste domande emergono nel nostro spirito e diventano quasi ossessive, esigono una risposta, mettono in questione ciò che siamo e facciamo: sono domande ineludibili che spesso vengono poste a noi da chi si trova nel buio più completo e si rivolge a noi come a coloro che pensano di conoscere tutta la verità.
Sono domande che ci fanno bene, perché ci obbligano a interrogarci e a mettere in questione le nostre sicurezze: dobbiamo rispondere, dobbiamo chiarire a noi stessi e poi a coloro che ci interrogano, dobbiamo «rendere ragione della verità che è in noi», come raccomanda Pietro ai primi cristiani (cfr. 1Pt 3,15). La risposta viene solamente da Gesù stesso, cioè da una nostra maggiore attenzione alla sua parola, da una meditazione fondata non solamente su uno«studio» dei testi, ma anche su una verifica personale che misuri la realtà di una coerenza, di una «sequela» fiduciosa per poter meglio constatarne l'efficacia concreta nella nostra vita.
Bisogna «andare da Gesù» e non starsene fermi là dove siamo, distaccarci da quanto già abbiamo afferrato e realizzato, perché Dio è sempre mistero, e se crediamo di aver già capito tutto, facciamo di Dio un idolo inventato da noi, un idolo che non ha nessuna credibilità e che non risponde alle attese più urgenti, Forse è anche per questo, che oggi tanta gente abbandona la fede cristiana e si rivolge ad altre esperienze che meglio rispondono al desiderio di mistero, di ignoto, di suggestivo: e se è giusto non lasciarsi prendere da queste tentazioni, c'è però da rendersi conto di come la religiosità esige di essere proposta come esperienza del mistero e non come una sequela di affermazioni congelate in formule tecnicamente esatte.
La risposta di Gesù è assai chiara: si tratta di vedere, di saper guardare al di là delle piccole esperienze personali e cogliere il mistero di Dio presente e attivo nella storia quotidiana, si tratta di voler riconoscere ciò che Dio sta facendo dentro le nostre situazioni, quel Dio che si è incarnato, che è entrato dentro la vita delle persone di oggi.
Allora, si vedrà che gli zoppi camminano, i sordi odono, i ciechi ricuperano la vista..: non nel senso miracolistico che forse si vorrebbe, ma nel senso più profondo e più vero, in quelle «regioni» dove l' essere umano ritrova il senso del proprio vivere.
Per vedere queste cose, non basta la semplice curiosità superficiale vissuta quasi come una sfida per mettere Dio alla prova e poterlo giudicare sui metri delle nostre immediate esigenze: ci vuole l'animo libero e grande che si mette alla scuola di Dio e cerca di misurare se stesso sulla proposta di Dio capovolgendo il continuo tentativo di piegare Dio alle nostre visuali.
Quando si ha il coraggio di affidarsi a Dio, allora ci si rende conto che è vero che questi «miracoli» avvengono, perché è vero che si vede ciò che prima era oscuro, si sente ciò che prima non si avvertiva, si cammina sicuri mentre prima si zoppicava, ci si libera da quella lebbra che così spesso corrode la nostra persona...
L'importante è «non scandalizzarsi» di Gesù, della sua azione, del suo modo di rispondere alle nostre richieste, non deluderci se non si ottiene immediatamente ciò che aspettiamo, e se ci si sente oppressi dal giogo del male, della debolezza, della incoerenza nostra e altrui.
La fede, quando è genuina, diventa speranza, diventa certezza che Gesù è qui, è con noi, è per noi, è venuto proprio per i peccatori e non per i giusti, per i malati e non per i sani: si deve però avere la netta coscienza di essere peccatori e malati e non la presunzione di poterci salvare da soli.
Questa è la fede in Gesù, in lui e non in noi, non nelle nostre capacità, nei nostri sforzi, nelle nostre categorie mentali, nel nostro buon senso: la fede in Gesù è sempre una verifica, una tensione che ci fa uscire da noi stessi per andare realmente verso di lui.
