Riflettiamo
Dio è amore...

All'inizio della lettera Giovanni aveva affermato: "Dio è luce" (1Gv 1,5), ma ora afferma che ''Dio è amore" (ho theòs agape estìn: 1Gv 4,8.16), in un brano dall'inesauribile profondità, che riprende e porta a compiutezza l'insegnamento sull'agape già abbozzato precedentemente (cfr.1Gv 2,5-11 e 3,11-24). Siamo di fronte al vertice rivelativo della lettera e, più in generale, a uno degli apici di tutto il Nuovo Testamento.
In questi quindici versetti Giovanni proclama sostanzialmente un'unica verità, e lo fa con una forza e un'insistenza tali da conferirle il peso di verità centrale dell'esperienza cristiana: Dio è amore e ci chiama ad amarci gli uni gli altri. Non è facile, e forse neppure opportuno, suddividere con precisione i versetti che compongono il nostro testo. L'autore propone infatti un discorso che, per ondate successive, svolge un serrato intreccio di affermazioni, così riassumibile: in quanto amati da Dio nel Figlio, anche noi possiamo e dobbiamo amarci gli uni gli altri con autentico amore; questo nella liberante consapevolezza che "l'amore perfetto scaccia il timore" (1Gv 4,18).
Lo stile di questo brano ha accenti di prosa ritmica e per questo, nonostante il tono esortativo, ci appare un canto all'amore vissuto tra fratelli, reso possibile e anzi fatto comandamento perché "Dio è amore". Questa affermazione, che sta all'inizio e al centro della pericope, è attorniata da continue riprese che declinano sempre l'amore come agape.
Sì, "Dio è amore" è affermazione solenne, rivelazione chiara, ultima e definitiva su Dio, oltre la quale non si può andare! E si ricordi che non sta scritto che "l'amore è Dio"; anzi, Giovanni ha appena affermato che "l'amore è da Dio" (1Gv 4,7): l'amore non va dunque divinizzato e innalzato a idolo, come sovente accade tra gli uomini. E "Dio è amore" non vuole essere innanzitutto una definizione, bensì l'affermazione che noi possiamo fare esperienza di lui come amore, sempre! "Dio è amore" significa inoltre molto di più che non una semplice asserzione del fatto che in Dio c'è amore: è un'espressione lapidaria che tenta di raccontarci chi è Dio, la sua natura, per quanto noi siamo capaci di comprenderlo.
Dio infatti è amore in se stesso e ha reso visibile questo suo essere amore attraverso suo Figlio Gesù, che ha narrato Dio attraverso l'amore da lui vissuto fino all'estremo.
Il termine agape - passato agli autori neotestamentari per il tramite del greco dei LXX - traduce il sostantivo ebraico ahavà, che denota l'amore esclusivo e geloso; nel contempo, esso racchiude in sé anche il valore dell'ebraico chesed, l'amore fedele e saldo che discende da Dio sugli uomini. L’agape è dunque l'amore per eccellenza, la caritas, l'amore gratuito e concretissimo, che si indirizza a persone ben precise, a partire dal fratello che ci è accanto; è l'amore che non esige il contraccambio, ma si estende fino al nemico. Tale significato fondamentale dell'agape è chiarito dalle connotazioni che essa riceve nel Nuovo Testamento:
- L’agape è sempre riferita a Dio, che è la fonte dell'amore; anzi, come abbiamo visto, il nostro testo si spinge ancora oltre, affermando che non solo "l'amore è da Dio" (lGv 4,7), ma che "Dio è amore" (lGv 4,8.16). Con audacia e intelligenza Giovanni porta così a compimento la rivelazione biblica del Nome di Dio, sintetizzando in una sola parola la grande autorivelazione di Dio a Mosè: "Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e compassionevole, lento all'ira e grande nell'amore e nella fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato ..." (Es 34,6-7).
- L’agape, di conseguenza, è un carisma, un dono che viene da Dio, mediante lo Spirito santo (cfr. Rm 5,5; Gal 5,22) il quale, nell'ottica giovannea, è effuso dal Crocifisso al momento della morte (cfr. Gv 19,30). Più precisamente, l'amore è il carisma per eccellenza, la condizione necessaria all'esistenza di ogni altro carisma, come appare con chiarezza dal grande inno paolina di 1Cor 13: "La carità non avrà mai fine ... Rimangono fede, speranza e carità, ma di queste più grande è la carità" (1Cor 13,8.13).
-Tale agape è il mandatum novum, il comandamento nuovo che Gesù ha dato ai suoi discepoli: ''Amatevi gli uni gli altri. come io vi ho amati" (Gv 13,34; 15,12); questo "come" ha un valore fondante e costitutivo, nel senso che Gesù ha amato i suoi con lo stesso amore che il Padre aveva per lui. Per Giovanni l'agape chiude dunque il cerchio dei rapporti tra il Padre, il Figlio e i cristiani, instaurando tra di essi una comunione che ha per fondamento l'amore di Dio e come legge intrinseca il permanere in questo amore.
Venendo più da vicino al nostro testo, occorre innanzitutto riconoscere che questo autentico cantico all'amore può essere innalzato solo da chi, come Giovanni, ha conosciuto il mistero dell'umanizzazione di Dio in Gesù (cfr.1Gv 1,1-3; 4,9) e, nel contempo, della morte di Gesù in croce, quale "vittima di espiazione per i nostri peccati" (1Gv 2,2; 4,10). Ora, questa scandalosa kénosis di Dio (cfr. Fi 12,6-11) è la manifestazione dell'«ampiezza, lunghezza, altezza e profondità» (Ef 3,18) del suo infinito amore per l'umanità: se già "in principio Dio non plasmò Adamo perché avesse bisogno dell'uomo, ma per avere qualcuno nel quale deporre i suoi doni" (cfr. Ireneo di Lione), significa dunque che lo creò nella libertà e per amore. Nell'evento dell'incarnazione, poi, Dio ha mostrato di amare a tal punto gli uomini da inviare suo Figlio, dando tutto ciò che ha, dando se stesso in lui. Questo amore di Dio, amore preveniente, si è manifestato attraverso Gesù Cristo venuto tra gli uomini, e ciò è avvenuto nella storia, in una simultaneità tra inimicizia, peccato dell'uomo e amore, riconciliazione da parte di Dio. È Paolo a descrivere mirabilmente questa paradossale unilateralità di Dio rivelatasi in Cristo: “Mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall'ira per mezzo di lui. Se infatti, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita” (Rm 5,6-10).

A conferma di quanto fosse essenziale, per Giovanni, la dimensione dell'agape nella vita ecclesiale, è significativa un'annotazione di Girolamo, il quale riporta una tradizione antica: egli riferisce che a Efeso Giovanni, ormai vecchissimo e portato sulle spalle dei suoi discepoli all'assemblea liturgica, non potendo più parlare a lungo si limitava a ripetere: "Piccoli figli, amatevi gli uni gli altri". Di fronte all'obiezione dei suoi fratelli, stanchi di udire sempre e solo quelle parole, egli rispose: "Questo è il comandamento del Signore e, se fosse anche il solo ad essere osservato, basterebbe".
E Agostino gli fa eco con parole divenute giustamente celebri: “Una volta per tutte, ti viene imposto un breve comandamento: ama e fa' ciò che vuoi! Se tu taci, taci per amore; se tu parli, parla per amore; se tu correggi, correggi per amore; se tu perdoni, perdona per amore. Sia in te la radice dell'amore, poiché da tale radice non può germogliare se non il bene”.
Là dove c'è un amore umano autentico, che crea comunione tra gli uomini, non c'è soltanto un incontro umano ma un incontro con l'amore di Dio che è presente e si realizza negli uomini. Quando l'amore diventa realtà tra gli uomini, allora Dio è presente, agisce, si esprime; e gli uomini, anche se non lo sanno, proprio nell'esperienza dell'amore partecipano all'amore di Cristo e sono associati all'evento pasquale, che è amore di Dio vissuto fino alla morte (passione), evento di amore che vince la morte (resurrezione).