Riflettiamo - Dott. Giuliano Franzan

Dott. Giuliano Franzan
Teologo - Psicologo - Sessuologo - CTP
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Riflettiamo

Le bugie in adolescenza...

L’Adolescenza, oltre ad essere una fase evolutiva e un momento di grandi trasformazioni, è anche uno stadio di sviluppo abbastanza complesso, sia per il giovane, che, in primis, nota il cambiamento, sia per la famiglia, che è chiamata a ridefinirsi per accogliere i nuovi bisogni.
In questa fase del ciclo vitale così delicata, quale valore e significato ha il “mentire” per l’adolescente e come viene recepito dalle figure significative e dal mondo relazionale circostante? Esploriamolo insieme…
Prima di addentrarci a riflettere sulla bugia adolescenziale, spezziamo una lancia a favore del fatto che tutti noi, per avere mentito o per avere subito menzogne altrui, conosciamo abbastanza bene le regole di questo “antico gioco”. Le motivazioni possono essere molteplici: odio, amore, coraggio, viltà, divertimento, furbizia, paura e timore dell’incontro con l’altro.
Parlando di bugie, non possiamo non menzionare il famoso romanzo di Carlo Collodi, “Pinocchio”, la cui collocazione storica è l’Italia della seconda metà dell’ottocento, periodo in cui gli italiani, avendo da poco conquistato l’indipendenza, sentivano il bisogno di fornire una letteratura educativa ai ragazzi. Pinocchio è tradizionalmente visto come il simbolo della bugia e la metafora del naso che si allunga è ancora oggi utilizzata dai genitori per invitare i figli a non mentire e ad essere sempre sinceri.
Indipendentemente dalla fascia d’età e dall’ambito sociale, riscontriamo l’utilizzo del mentire in un’ampia varietà di situazioni: nei contesti lavorativi, educativi, nei legami amorosi, nella politica, nella medicina, nella religione. Ciò non ci autorizza a considerare la bugia un’arma lecita, ma ci fa comprendere che, in qualche modo, la menzogna costituisce un elemento della vita sociale: citando F. Bellagamba, docente all’Università di Roma, la bugia è un “enunciato intenzionalmente falso, utilizzato da un agente, all’interno di un particolare contesto, per ottenere uno specifico impatto su un’altra persona”.
Per poter sondare lo sfondo psicologico dal quale emerge la bugia, non bisogna considerare l’ottica secondo cui il vero è sempre buono e il falso sempre cattivo. È importante, invece, comprendere quando sorge e come si dispiega il bisogno di ricorrere alla menzogna.
In età adolescenziale, capire il perché della bugia, soprattutto da parte dei genitori, diventa un’impresa ardua e complessa.
Spesso assistiamo al rifiuto, da parte dei figli adolescenti, di parlare con gli adulti, in quanto le loro ragioni vengono misurate sul metro dell’adulto e quindi ritenute assurde ed inaccettabili: “Il bisogno di differenziarsi diventa un’autentica rivolta. L’adolescente considera intollerabili le norme dettate dai genitori ed è convinto che i grandi siano ipocriti, inaffidabili e corrotti: ecco perché si ritiene autorizzato a mentire”. Questo è ciò che afferma Paul Ekman, in “Le bugie dei ragazzi”, libro in cui l’autore ha messo a disposizione di tutti quei genitori che si sentono disarmati di fronte alle bugie dei loro ragazzi sia la sua autorevole competenza scientifica, sia la sua personale esperienza di padre. Anche lui, infatti, uno dei più noti studiosi della menzogna e dell’inganno, ha conosciuto l’imbarazzo e il dispiacere di essere imbrogliato dal figlio.
Esplorando l’universo della menzogna, occorre fare un’importante distinzione tra il segreto e la bugia. Il segreto implica il celare, il nascondere un elemento della realtà: talvolta può avere anche una valenza positiva, intesa come capacità di essere discreti e attenti nei rapporti con le altre persone. Altro significato possono avere le bugie, le quali hanno come scopo quello di “sostituire un elemento della realtà” che risulta inaccettabile. Non sempre la bugia ha un valore positivo: se, quelle escogitate dai bambini di tre anni d’età fanno sorridere, quelle utilizzate dagli adolescenti, in un momento in cui è in atto la ricerca di autonomia e indipendenza rispetto ai genitori, può essere un campanello d’allarme, un messaggio relazionale da ascoltare. Un episodio esemplare: la difficoltà dei genitori di accettare un insuccesso scolastico, può portare il/la ragazzo/a a nascondere un “brutto” voto in pagella. Questo breve esempio non solleva dalla colpa l’adolescente, ma ci invita a riflettere, ridimensionando la gravità del problema e orientando la direzione da intraprendere per trovare un punto d’incontro relazionale tra genitori e figlio adolescente “Pinocchio”.
In questa direzione, seguendo l’ottica della Gestalt Therapy, ci si potrebbe chiedere “Chi non sopporta la verità all’interno di quella famiglia?”. È come se, talvolta, l’adolescente utilizzasse la bugia pur di non tradire un mito familiare (la perfezione, ad esempio), che altrimenti crollerebbe. La Gestalt Therapy, infatti, leggendo l’adolescenza come “il tempo della vita più sollecitato dal cambiamento” (V. Conte), ci invita a guardare non solo l’adolescente, ma ad ampliare la prospettiva verso l’adolescente in famiglia e nella società di oggi. Se guardiamo al mondo in cui viviamo, questo è caratterizzato spesso da confusione e incertezza, quindi mancanza di punti di riferimento. Dopo l’era del narcisismo, ci troviamo oggi in un “contesto relazionale borderline”, in “un mondo pluricentrico che dà libertà ma non dà direzione… una libertà che annichilisce”, una libertà che spinge ad una maturazione immediata, che impedisce il poter fare domande, in quanto vissuto come fragilità e incapacità.
Oggi gli adolescenti come si presentano?
Sono caratterizzati da un’affettività fragile, legata a una difficoltà nel sentire pienamente le loro emozioni, da una forte tendenza alla competizione, non sempre sana e fortemente incentivata dal contesto mediatico, ricercano l’indipendenza ma non sono autonomi, temono l’ansia di protagonismo, spesso ricercano la felicità in modo affannoso e ad ogni costo, oscillando tra due polarità: l’idealizzazione e la svalutazione, vivendo “il drammatico divario tra il non sapere ancora chi sono e la paura di non riuscire ad essere ciò che sognano” (Cfr. V. Conte).
Alla scoperta della bugia, in famiglia si delinea un clima di sconcerto, delusione e molta rabbia: punire o no? Come spiegargli la gravità del gesto senza allontanarlo, e soprattutto che cosa bisogna considerare grave? La bugia in sé, il tradimento verso i genitori, o il fatto che il ragazzo si sia misurato completamente da solo con la sua difficoltà? Il fatto che l’adolescente, per un periodo di tempo, da un lato si è confrontato singolarmente con il suo insuccesso scolastico, e dall’altro lato ha fatto finta che andasse tutto “ok”, questo richiede l’attenzione dell’adulto. Questo è uno dei nodi problematici, in quanto l’adolescente può alimentare il pensiero di non essere compreso dal mondo degli adulti, portandolo ad essere più isolato. Alla base di questa tipologia di bugie, ci possono essere varie preoccupazioni: paura di deludere, di non essere accettato dai genitori, paura di ricevere una punizione severa, paura dello sguardo di disapprovazione. È comprendendo e ascoltando questi vissuti del ragazzo che il genitore e la famiglia potranno muoversi per ripristinare e costruire il rapporto di fiducia, cercando di evitare un clima accusatorio e troppo rigido. Il rischio è quello di alimentare il circolo vizioso della bugia “come un mondo che accusa e non capisce, non ascolta”. I genitori, infatti, segnalano spesso difficoltà nel parlare con i figli dei vari argomenti in modo spontaneo: l’anello mancante è l’ascolto attivo. I segni di disagio, le richieste non verbali, gli SOS che vengono inviati dai bambini e dagli adolescenti non sono certo facili da cogliere e da comprendere, e in questo la funzione genitoriale ha bisogno di essere sostenuta.
Le mamme e i papà, se da un lato devono essere presenti, una sorta di porto sicuro a cui i figli possono tornare, dall’altro sono chiamati anche a rispondere al bisogno di autonomia e alla ricerca di indipendenza, propria dell’età adolescenziale. Un punto importante potrebbe essere quello di instaurare un dialogo che sia basato sull’accoglienza dell’altro, evitando il dire a priori “tu sbagli”: accogliere il pensiero dell’adolescente, il modo in cui ragiona e il suo modo di essere, senza giudicarlo, gli consentirà di presentarsi al mondo “nella sua fierezza, pienezza e regale unicità”.
Come sottolineato dalla Dott.ssa V. Conte “ascoltando con stupore le loro parole e con interesse e rispetto le loro idee, coniugando l’autorevolezza con la curiosità e la disponibilità ad apprendere dai giovani, sarà possibile per genitori e figli crescere per vivere e non per sopravvivere!”
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