Riflettiamo
A confronto con la morte dalla prospettiva dell'amore alla vita...

Continuiamo la nostra riflessione...
Dal limite all'affidamento
Chi sa vivere l’esperienza della finitudine, come verità di sé stesso, sofferta e scoperta, alza al Signore il grido della sua vita, ritrova la gioia di vivere e la libertà di sperare. Convive, nella pace e nella gioia, con la propria finitudine, perché si sente nell'abbraccio accogliente di Dio. L’esperienza della finitudine apre alla capacità di affidamento. Ci fidiamo tanto della vita, da anticipare, in modo maturo e programmato, quell'affidamento al suo mistero a cui la morte ci costringe.
E’ proprio strano: chi si affida è debole, sembra un perdente, dipende tutto dall'altro... così diventa forte, il vincitore. Povera logica del nostro buon senso: è proprio condannata al fallimento. Ma è quella del Vangelo: chi ama la sua vita, la perde per amore, perché la consegna, con la fiducia cieca di un bambino.
Davvero, la morte fa scuola alla vita.
Educare a «possedere» anche la morte
Non mi piace pensare ai problemi rimandando la loro soluzione a momenti futuri, soprattutto quando essi sfuggono ad ogni controllo.
L’abbiamo fatto spesso anche con la morte. Essa provoca la vita, ne rivela il senso e la destinazione. Abbiamo il diritto di vivere felici «nonostante» la morte, solo nella speranza che «dopo» saremo consolati, ripagati a dismisura dei dolori e delle sofferenze con cui ci siamo conquistati il diritto alla felicità? Sarebbe come tentare di rabbonire un’assemblea alle prese con un oratore noioso, promettendo un buon pranzo, alla fine della conferenza...
La morte mette in crisi «questo» tratto di esistenza, l’unico che ci appartiene, di cui possiamo disporre nel gioco della libertà e della responsabilità. Rivela il limite che l’attraversa e ci costringe a ricostruire la sua qualità nell’affidamento al mistero. Possiamo riconquistare il diritto alla felicità, facendo i conti con la minaccia più grave a questo diritto?
Per poter amare, da adulti responsabili, una esistenza che si conclude in una costrizione senza appelli ad abbandonare tutto quello che è stato amato, costruito, realizzato, dobbiamo riuscire a «possedere», in qualche modo, anche la morte.
Possedere la morte... non è folle presunzione? E’ un’operazione praticabile... o ce lo ricordiamo solo per consolarci e per darci un po’ di tono? Lo possiamo annunciare con forza e fierezza anche al di fuori delle nostre assemblee liturgiche, riservate al giro degli iniziati... o dobbiamo pronunciare sottovoce questa affermazione, per paura di essere derisi?
Il senso della proposta
Di fronte alle difficoltà e alle situazioni di crisi, riconosciamo di essere più forti di quello che ci preoccupa, se, in qualche modo, siamo in grado di prevedere i possibili sviluppi e abbiamo in serbo le soluzioni pronte per ciascuno di essi. Chi si imbarca per un lungo viaggio in automobile, si sente tranquillo se ha carburante a sufficienza, ha prenotato i punti di sosta, è sicuro di un rapido cambio di macchina in caso di guasto e ha l’assistenza assicurata in caso di incidente. Ogni viaggio è un rischio... ma a queste condizioni il rischio è controllato.
Esiste un inventario assicurativo, capace di confortarci contro il rischio (certo e imprevedibile) della morte?
Certamente, no. Qualche modello devozionale e la presenza di talismani, più o meno religiosi, sono ormai relegati, per fortuna, tra i ricordi del passato.
Possiamo «possedere» anche la morte, fino a non averne paura, solo se riusciamo ad anticipare, in termini consapevoli e maturi, quell’esperienza esistenziale a cui la morte ci condanna inesorabilmente. Si tratta sempre di un possesso più passivo che attivo: non è dominio ma affidamento. Ci affidiamo alla morte da persone adulte, capaci di scegliere uno stile di esistenza nel tempo in cui possiamo esercitare la nostra responsabilità, in modo da costruire, in libertà e a frammenti, quell’atteggiamento complessivo a cui non potremo assolutamente sottrarci.
Questo stile di esistenza dipende da noi. E’ frutto della nostra quotidiana fatica esistenziale. Può essere progressivamente «iniziato» in altri, come esito di processi formativi.
Vivere in questo stile, nel ritmo della vita quotidiana, è possibile a chiunque ha consolidato un sogno grande sulla sua esistenza. Vivendo così «possediamo» simbolicamente anche la morte, nel tempo della vita, per lasciarci possedere in modo maturo dalla morte stessa, quando ci chiederà il coraggio di consegnarci pienamente ad essa.