Riflettiamo - Dott. Giuliano Franzan

Dott. Giuliano Franzan
Teologo - Psicologo - Sessuologo - CTP
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Riflettiamo

Le relazioni ferite...

Tema delicato, interessante e decisivo per la riflessione culturale e la vita cristiana.
Mette infatti in connessione due termini che sembrano se non opposti, per lo meno non in sintonia:
relazione” dice infatti, apertura, positività, suggerisce momenti di vicinanza e invoca legami significativi di amore mentre “ferita” richiama a trauma, negatività, chiusura, dolore.
Che legame può esserci tra queste due realtà? Da sempre l’uomo se lo domanda? Perché desideriamo relazioni positive di amore e invece abbiamo anche esperienza di ferita, di dolore? E soprattutto come gestire questi particolari esperienze?
Dividerò la mia riflessione in una Introduzione e in 3 parti (quando una relazione può dirsi riuscita; quando invece una relazione può dirsi ferita e infine…una possibile pista di uscita dalla ferita).

Introduzione
I momenti di dolore (la ferita provoca dolore) sono allo stesso tempo i più temuti ma anche i più profondi (anche più di quelli di gioia).
Esempio: la ferita più profonda come può essere quella del lutto che dice strappo e distacco lo testimonia. I funerali sono le celebrazioni più dolorose ma anche più sentite, regna il silenzio più solenne, le parole del celebrante o di chi porta un “grazie” al proprio caro si stagliano nell’aria. Forse perché i momenti di gioia che tanto amiamo sono ambiti certo ma ci facciamo meno caso e ci fanno meno riflettere (sto bene e non mi pongo problemi)
- lacerano dentro ma possono anche compattare, creano solitudine ma anche relazioni più profonde (alcune famiglie si uniscono, ritrovano legami proprio in momenti di difficoltà e di dolore)
- ci si chiude ma si è anche più disposti a lasciarsi amare, a ricevere amore, legami di solidarietà (condoglianze di chi ci è vicino)
- può portare alla disperazione ma anche a dare nuova speranza, anche fede (vedi ospedali)
Ogni ferita è quindi dolore ma anche nuova possibilità. Come non far risuonare l’immagine di Gesù “Se il seme caduto in terra non muore non porta frutto, se invece muore porta molto frutto “ (Gv 12,24).
Ogni relazione ferita è infatti una invocazione di una risposta, di un significato che vada oltre l’immediato, è invocazione di aiuto perché da soli non ce la facciamo, è invocazione di una salvezza che da soli non possiamo darci. Sperimentiamo che relazione piena (amore) e ferita (dolore) non dovrebbero andare assieme, un po’ stonano e allora cerchiamo, ci apriamo a nuove prospettive perché quelle solite ci hanno portato al dolore.

1- Relazione riuscita
Non c’è relazione più riuscita di quella di amore: l’amore è il motore di ogni vita, è ciò che riempie la nostra esistenza, ciò che dà valore a tutte le cose, pur belle e valide.
Cosa spinge infatti un uomo e una donna a unire le loro vite, a lasciare le loro famiglie e ad iniziare un progetto di vita insieme per sempre? Cosa spinge un padre e una madre a crescere ed educare i loro figli, ad alzarsi la mattina e andare a lavorare o fare i lavori di casa e a superare anche l’istinto fortissimo di volere i figli sempre con sé? Cosa spinge qualcuno di noi a donare la propria vita interamente per gli altri, per i ragazzi, per la comunità cristiana, per i poveri o sfortunati?
Cos’è che cioè dà senso, significato, direzione alla vita, ad ogni vita, con le sue scelte personali di valori in cui credere, di lavoro, di rapporti con amici e parenti nei momenti di gioia e di pace ma anche con quelli di difficoltà o di dubbio?
E’ l’amore.
Centrale è quindi capire come funziona l’amore, che tratti ha, che movimenti ha. Perché vedendo che forma ha si può capire come mai a volte non funzione e rimane ferito (come sapere come funziona un motore permette in caso di guasto di saper come muoversi…).
L’amore ha la forma del 3…
L’amore non può essere chiuso in 1, l’amore abbisogna di qualcuno a cui donarlo, di qualcuno da cui riceverlo, mentre l’1 dice più chiusura, fissità. Se si è da soli non si può amare. Per questo il Dio rivelato da Gesù non ha la forma di un Dio chiuso in se stesso, come un motore immobile.
L’amore dice relazione e quindi 2…ma al 2 non si ferma. Infatti non può essere chiuso ad un semplice dare e ricevere che rimane in se stesso. Quando due persone si innamorano la tendenza iniziale è quella “due cuori e una capanna” ed è capibile ma se il rapporto rimane così dopo un po’ muore, se ci si isola si diventa chiusi, simbiotici e come una fiamma posta sotto una campana di vetro, dopo un po’ si spegne perché non c’è ossigeno.
No, l’amore deve superare il 2 per aprirsi ad un “di più”, deve generare una novità: può essere una novità della relazione (vedersi nuovi), o l’apertura al sociale (amici, comunità civile...), aprirsi alla dimensione ecclesiale (servizio agli altri)… il modello per eccellenza è l’apertura ad una nuova vita che è il frutto maturo di un amore che dal 2 passa al 3. Anche i primi padri della Chiesa parlano di un Dio Amante (Padre), di un Dio Amato (Figlio) e di un Dio Amore (Spirito Santo): certo perché se è Amore è Trino.
Oggi questo aspetto dell’amore è forse meno sviluppato perché si ferma o all’amore come soddisfazione dei propri bisogni (1) o all’amore di coppia fine a se stesso (2). Siamo in un contesto individualista mentre noi siamo strutturalmente relazione aperta.

2- Relazione ferita
La relazione ferita dove si colloca allora? Si colloca nello spazio di costruzione dell’amore, è una possibilità della nostra libertà se non la usiamo bene: se noi o chi ci sta accanto, siamo fermi all’1 o se siamo chiusi al 2…dove non c’è la ricerca di un di più o dove c’è una ricerca sbagliata. Non siamo fatti per la sofferenza come una macchina non è fatta per uscire di strada: siamo fatti per la gioia ma può capitare la sofferenza, la ferita.
Che nome diamo a queste ferite?
1 - solitudine: è ciò che più ferisce, più dà dolore, più fa paura. Bambino e il buio… se siamo mano nella mano la paura diminuisce perché non siamo soli. Se siamo soli diventa angoscia, paura senza oggetto, diventa disperazione.
2 - strumentalizzare l’altro, sfruttarlo. Fingere di guardare l’altro e invece guardare sé: delusione, tradimento.
Senza l’amore…
“senza l’amore l’amicizia diventa tornaconto personale, la vita familiare un peso, il lavoro solo uno strumento per fare nel tempo libero ciò che si vuole, e il tempo libero senza amore diventa noia o sballo, i momenti di dubbio diventano angoscia e quelli di gioia fugaci parentesi…”
“Senza l’amore, Dio è lontano, Cristo resta nel passato, il Vangelo è una lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l'autorità un potere che schiaccia, la missione una propaganda, il culto un ricordo, e l'agire cristiano una morale di schiavi.” ( Patriarca Atenagora I, Patriarca di Costantinopoli)

3 - Che possibilità abbiamo? Come possiamo uscire da una relazione ferita?
Intanto possiamo uscirne:
Vincere l’1 e il 2…con il 3: ridando cioè significato e spazio nelle nostre relazioni all’amore vero come eco di quel “nella notte in cui fu tradito, prese il pane, lo spezzò, lo diede ai suoi discepoli” (preghiera eucaristica III).
La sofferenza non è utile in sé (la sofferenza non è un dio, non siamo masochisti) diventa però occasione per amare di più.
La mamma si sacrifica volentieri per il figlio per amore e se c’è amore! L’amore è una scelta, non viene spontaneo o naturale e è più profondo se si paga di persona.
Il perdono come medicina per la ferita:
1 - riconoscere il dolore, la ferita (non negare), dargli un nome (delusione, tradimento, solitudine, fallimento, invidia, incapacità).
2 - Accettare la sofferenza non passivamente ma attivamente in modo da non far vincere l’astio o l’aggressività che non fa che aumentare la ferita.
3 - Affidarsi: a chi ci vuole bene, a chi può aiutarci, a Dio. Non tenere il dolore per sé (come un serpente o un carbone), vincere la tentazione di chiudersi o di pensare di farcela da soli (non ci saremmo messi in quella situazione).
4 - Amare nel dolore per un amore più grande.

Questo è quello che sta’ a noi… il risultato non è in nostro dominio ma vivendo così possiamo riconquistare la nostra libertà di vivere anche la ferita come occasione di crescita umana. Trovare il tempo anche nel dolore di amare. Questa è la strada della speranza…
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