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Riflettiamo - Dott. Giuliano Franzan

Dott. Giuliano Franzan
Teologo - Psicologo - Sessuologo - CTP
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Riflettiamo

Mosè a tu per tu con Dio...

Allora il Signore disse a Mosè: ‘Va’, scendi, perché il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicata! Si son fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: ‘Ecco il tuo Dio, Israele; colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto’ . Il Signore disse inoltre a Mosè: ‘Ho osservato questo popolo e ho visto che è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farò una grande nazione’. Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: ‘Perché Signore, divamperà la tua ira contro il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto con grande forza e mano potente? Perché dovranno dire gli Egiziani: ‘ Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra? Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo. Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, hai quali hai giurato per te stesso e hai detto: ‘ Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo e tutto questo paese, di cui ho parlato, lo darò ai tuoi discendenti, che lo possederanno per sempre.’ Il Signore abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo.”
Com’è cambiato Mosè dall’inizio della sua vicenda; titubante di fronte al roveto ardente, e desideroso quasi di sottrarsi alla parola di YHWH, il patriarca ci appare adesso coraggioso e deciso, guida autorevole e appassionato difensore del suo popolo, capace addirittura di rifiutare il suo appoggio al nuovo progetto di Dio, di ricominciare da capo assicurando un futuro solo a lui, il fedele Mosè. La preghiera del patriarca è una delle più belle: “Perché?… Ricordati!”, e delle più potenti dell’A.T.
Egli non difende la causa del popolo colpevole, non cerca nemmeno scuse. La sua preghiera è fondata su Dio stesso, su ciò che Dio è e ha fatto; senza timore reverenziale invita Dio ad esaminarsi, Lui pure! Il ritmo del testo è incalzante: Mosè ricorda al suo Signore ciò che Lui stesso ha già compiuto, la liberazione; di seguito richiama l’attenzione sulla credibilità di fronte agli Egiziani: l’esodo rischierebbe di diventare uno smacco per Dio stesso; infine adduce a garanzia della alleanza stipulata le promesse fatte ai patriarchi: sono queste che danno il senso all’esodo e alle peregrinazioni del popolo nel deserto, bisogna pertanto che YHWH si ricordi di ciò che ha detto e assicurato!
La preghiera di Mosè è tanto ardita, quanto semplice e chiara: Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo.” (v.12).
Il Nostro, liberato dalla schiavitù, è reso libero da Dio anche di opporgli resistenza, di contraddirlo. E’ infatti quella del Padre, una pedagogia che non teme l’alterità del proprio figlio; una libertà non formale ma capace di generare uomini liberi.
Questo Dio che dismette le vesti dell’imperscrutabile immobilità autoritativa per lasciarsi “convertire” da un uomo che ha acquisito, da Lui, il diritto a far udire la propria voce, e che rinuncia alla sua onniscienza per accogliere la prospettiva umana, riconoscendo ad essa “maggiore” coerenza argomentativa, il tutto in nome dell’amore per gli uomini, ha già quei caratteri e quelle intonazioni, che il N.T. ci abituerà ad attribuirgli. Le assonanze fra il brano ora analizzato e le parabole evangeliche del Pastore buono o del Padre misericordioso, narrate da Luca (cfr. Lc. 15, 4-32), sono infatti fin troppo evidenti. Vale inoltre precisare che la pericope da noi citata permette di chiarire, quale spunto di crescita responsabile nella vita di fede, la differenza che intercorre fra “timore di Dio”, categoria antropologica centrale nell’esperienza del credente e “paura di Dio”, dato questo complessivamente estraneo alla teologia dell’A.T.
 
L’Esodo come cammino di vita
Non si vivono lunghe ore, giorni e settimane con il Signore Dio, con Mosè, con il popolo di Dio che percorre la sua strada nella storia, senza esserne trasformati; l’Esodo non termina con la lettura delle ultime pagine di un libro, ma entro l’esistenza del popolo di Dio che siamo noi.
Un popolo che non ha ancora finito di liberarsi dalle servitù, dagli idoli, dalle passioni, dai capricci e dai peccati, come ci ricorda S. Paolo nella lettera ai Romani (Rm.8,23 b): “…gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.”
Questa storia di liberazione, che è la storia d’Israele, è anche quella della Chiesa, dei cristiani, che sono sempre richiamati a ripartire e rinunciare alle varie forme di tranquilla sicurezza, a rifiutare i compromessi che imprigionano, a promuovere la libertà delle persone, la maturazione delle coscienze, l’apertura degli spiriti. Se infatti intorno a noi c’è ancora chi sprofonda nella tracotante violenza della rivolta o nell’immobilità del fatalismo scoraggiato, è anche perché non è giunto ad essi il messaggio e la grazia della salvezza: è perché non è risuonato nel loro cuore il Verbo che parla nel profondo, è mancata loro l’esperienza viva dell’amore del Padre.
Illuminanti a questo proposito, ci appaiono le parole di una poetessa contemporanea:
Dentro
Dentro la finitezza
ci cresce l’infinito e ci possiede
come Cristo Maria, come la stella il suo buio,
come la perla l’ostrica paziente:
le vite sordomute nell’ottusa prigione
dell’inespresso traversa e riscuote,
le vite oltracotanti nel vulcanico croscio
col silenzio dell’argine improvviso percuote:
dentro il pallido giorno dove vegeta il cuore
quieta esplode l’ardente mezzanotte d’amore.
(Maura del Serra, in “Meridiana”, Giuntina, Firenze, 1987)
 
Novello Mosè, il cristiano ha il dovere di educare i fratelli alla lezione che l’Esodo rivolge a ciascuno di noi: quella di non credere mai di essere arrivati, insediarsi nell’esperienza e renderla sufficiente a sé stessa, confondendo gli accampamenti con la meta, dimenticando la nostra natura di erranti: “perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura” (Eb. 13, 14).
La vita è cammino, crescita, evoluzione, storia.; questa strada passa per il deserto, la tentazione, la prova delle forze e della pazienza, la prova della fede. La strada aperta è quella della conoscenza di Dio, dell’alleanza che è amore e gioia nel servizio, compiendo quello che Dio vuole. L’esistenza cristiana è vita pasquale, significata e realizzata dal Battesimo e dall’Eucarestia; essa è segno del nostro continuo andare dal peccato alla redenzione, dalla morte alla vita. Costantemente liberati e rigenerati a vita nuova, diveniamo in Cristo, collaboratori di Dio alla riuscita della Creazione.
Da Mosè a noi tutta la storia è iscritta in un unico disegno di Salvezza che accoglie e varca il tempo.
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