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Riflettiamo - Dott. Giuliano Franzan

Dott. Giuliano Franzan
Teologo - Psicologo - Sessuologo - CTP
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Riflettiamo

Fede come avventura...
Terza parte: Dentro la storia umana

Riflessione: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,59-67)
C'è sempre un momento in cui sembra che la fede sia qualcosa di assurdo e che non si possa accettarla, o almeno non si possa prenderla nella sua interezza: si vorrebbe fare qualche eccezione, toglierne qualche parte, cancellare alcune parole per ritrovare il buon senso comune e rimanere nella «normalità».
La fede prima o poi si scontra con la razionalità nostra, con le misure che quotidianamente usiamo per valutare ciò che avviene e ciò che vogliamo: il divario tra il pensiero di Dio e il nostro si allarga fino a diventare contraddittorietà, e quindi fino a provocare l'alternativa, il dilemma concreto, o noi o Dio.
È uno scontro che troviamo facilmente nella mentalità comune di oggi e di ieri, quando si tenta di «interpretare», cioè di abbassare il livello della proposta di Dio, o addirittura si vorrebbe affermare che certe pagine evangeliche sono «datate» e hanno perso il loro valore.
È lo scontro che divide il credente dal non credente, quando non si accetta la figura di Gesù nella sua interezza perché non sapremmo come collocare la sua doppia natura nell'unica persona divina.
La storia del pensiero cristiano conosce bene queste scadenze, questi scontri che generano poi l'eresia, lo scisma, e tutte quelle forme di insubordinazione e di ribellione che ritornano ciclicamente.
Ma non c'è da andare molto lontano nell'individuare queste forme di difficoltà e di rifiuto o di compromesso: basta restare nella nostra personale esperienza, nell'ambito delle nostre comunità cristiane e nell'impatto quotidiano del messaggio evangelico con gli usi e costumi della nostra civiltà.
Si vedrebbe subito quanta acqua abbiamo messo nella parola di Dio, quante eccezioni, quante interpretazioni con le quali abbiamo reso il comportamento cristiano così uguale alle mode passeggere di tempi e di luoghi, e come si sia giunti a un miscuglio che non accontenta più nessuno e non dice nulla di nuovo.
D'altra parte, Gesù insegna cose nuove, e vuole condurre i suoi discepoli (cioè noi) ad approdare alle rive di Dio, a entrare nel suo mistero, a scoprire le regioni sconfinate della verità per la quale Dio ha creato nell'essere umano una capacità senza limiti.
È questa la funzione della fede, il suo compito fondamentale: condurre l'essere umano fuori dei suoi limiti per comprendere la sua realtà più vera, quella dignità divina che possiede perché è stato elevato a partecipare della stessa natura di Dio.
Proprio per questo, si fa fatica, e sembra che ciò che Gesù insegna non stia dentro le nostre categorie mentali, non si adegui ai nostri gusti: è questa la fortuna della fede, quella di potere arrivare là dove da soli mai saremmo arrivati e godere panorami e paesaggi meravigliosi che mettono le vertigini ma che allargano il cuore.
Come in questo episodio, sembra che ciò che Gesù dice e propone sia scandaloso, assurdo, sia una offesa alla dignità umana e persino una mancanza di rispetto a Dio stesso.
Ma qui nasce la fede, cioè l'affidarsi alla sapienza di Dio, al suo amore, alla sua iniziativa che vuole la sua creatura più vicina a sé, più degna di cogliere la sua essenza e così godere in modo più pieno il dono che ci vuole fare.
Questa è anche la fortuna del credente che può finalmente spaziare nell'infinito di Dio superando definitivamente le banali e sterili invenzioni personali, e iniziando il cammino mai finito nello spazio proprio di Dio, anche se deve passare attraverso strettoie o deve valicare fossati e abissi paurosi che però aprono sulla solidità dell'eterno e dell'infinito.
Siamo noi che troppe volte per paura di essere rifiutati presentiamo la parola di Dio come una piccola parola umana, quasi un pettegolezzo o un giochino enigmistico, togliendo ciò che caratterizza la rivelazione divina e che risponde alle attese più profonde del cuore umano.
Proprio per questo, Gesù ci pone il suo interrogativo che non permette di tergiversare o di nascondersi nel «vedremo» che rimanda a una scelta che non viene e non verrà mai.
Gesù chiede se anche noi vogliamo andarcene, abbandonarlo, tornare alle nostre piccole imprese, per non fare la fatica di aprire la mente e il cuore, se anche noi ci fidiamo maggiormente della nostra logica e della nostra esperienza più che non della sua proposta, della invenzione del suo amore che offre nuove possibilità.
Gesù chiede di deciderci per non rimanere fingendo di accettare e poi cercando tutti i mezzi per sfuggire alla coerenza di una sequela coraggiosa.
Andarcene anche noi, oppure accettare con gioia, con slancio e con riconoscenza la sua proposta: qui c'è la scelta della fede, qui la decisione che compromette tutta la vita e che però può presentare al mondo d'oggi la grandezza del progetto di Dio, la meraviglia del suo dono offerto a tutti.
La risposta di Pietro è la nostra?
Se lo fosse, quanti altri potrebbero appoggiarsi sulla nostra sicurezza e ritrovare la voglia di credere, di superare quelle barriere erette dall'egoismo orgoglioso che sempre trova scuse per rifiutare la verità scomoda e scottante.
È proprio la sconvolgente parola di Dio, la misura senza misura del suo invito, la grandezza impensabile della nostra realtà umana cosi come la fede ce la presenta, che può ancora oggi ridestare attenzione e stima verso la proposta cristiana, perché cosi rivela sia la verità di Dio che non è una invenzione dell'uomo, sia anche la grandezza dell'essere umano chiamato a superarsi senza mai stancarsi e scoprire sempre nuovi orizzonti per la sua storia personale e per il suo vivere sociale.
Così, si sperimenta che solo Gesù «ha parole di vita eterna», parole che generano l'eterno perché vengono dall'eterno e vi conducono.

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